Sarà che a volte mi sale un veleno incontrollabile, una
rabbia compulsiva che mi morde lo stomaco,
come se questo lacrimasse una goccia alla volta, è più
vicino al dolore che alla collera, non ho la faccia per piangere, ma lo stato
d’animo è avvolto in un dolore imperturbabile.
Oggi un paio dei ragazzi ci hanno segnalato movimento breve
(pochi zombie) fuori le mura, così siamo usciti armai io, mio fratello Danilo e
Alessandro.
Erano sette anime in pena di lunga infezione, a giudicare
dal puzzo e dalla camminata, prossimi alla morte definitiva e naturale (anche
gli zombie muoiono con il tempo e anche se nutriti).
Ci siamo fermati a guardarli prima che si accorgessero di
noi e andassero incontro alla morte violenta.
Tutti uomini e tutti adulti, i loro vestiti strappati, stracci
da impiegato di banca o qualcosa di simile, uno di loro aveva ancora una lisa
cravatta che doveva esser stata viola.
Mio fratello aveva con sé la sua ascia bipenne rubata nella
ex casa di un collezionista di armi, pesantissima ma efficace, dal braccio
lungo ed il manico in avorio, Alessandro una splendida spada da samurai, che
nessuno ha chiesto dove diavolo può averla trovata, ed io con la mia mazza in
ferro da carrozziere da dieci kg.
Ormai contro gli zombie è una lotta impari, spesso ti
vengono incontro inermi, lenti, goffi e terribilmente prevedibili, ti si
buttano contro con la loro bocca aperta e, spesse volte, quando ti scansi,
cadono da soli, non ti resta che colpirli.
Sicuramente è stata solo una mia impressione, ma avevano un
non so ché di umano, forse lo sguardo, sembravano dire, “siamo stanchi di
vagare, uccideteci, mettete fine al nostro strazio, abbiate pietà della nostra
non vita”.
Il primo è stato buttato giù da mio fratello che gli ha spaccato
la testa in due, fino alla base del collo, un colpo violentissimo, si è
spicchiato come un mandarino, di quelli
che si mangiavano nelle festività prebelliche
(come il natale), subito seguito da Alessandro che con tre movimenti secchi,
come fosse un ombra, ha decapito altri tre di quei cosi mostruosi.
Io ho aspettato che si avvicinasse a me un altro, quando si
è mosso per mordermi ho fatto due passi indietro (stavo per inciampare, tanto
per ricordarmi che puoi fotterti sempre con gli zombie) ma sono rimasto in
piedi, quando ormai era a terra, ho alzato la mazzetta e gli ho esploso la
testa.
Quando l’ho nuovamente alzata, sotto il peso del pesante
martello, non c’era quasi più nulla, solo una zuppa collosa di cranio friabile,
materia mucosa (che negli zombie sostituisce il sangue e cervello).
Un altro è stato prima tagliato di netto a metà da Danilo,
quando la parte superiore a terra, sbudellata, continuava a muoversi con un
trascinamento lento delle braccia, Danilo ha finito il lavoro.
Ne restava uno, quello più lento.
In quel momento abbiamo avuto tutti e tre la strana
sensazione che vi raccontavo.
Qualcosa in quell’essere era leggermente, ma
significativamente, diverso.
Per un attimo ha “esitato”.
Era il tipo con la cravatta viola.
Lo abbiamo visto fermarsi, ne siamo certi, non è stato un
problema di locomozione, si è fermato, ha esitato,come se avesse paura, e la
paura è un sentimento, e i sentimenti non sono mai stata una proprietà degli
zombie. Mi ha guardato e poi ha guardato mio fratello e Ale.
Nessuno di noi ha detto nulla, né prima né dopo, ma domani
ne parleremo, ne sono sicuro.
Dopo la pausa ha fatto un passo verso me, con la faccia
consumata dagli agenti atmosferici, la cravatta assurda con il nodo ormai
lentissimo e quegli occhi.
Vuoti e scuri ma misericordiosi, pieni di fine, tra noi un silenzio
di colla.
Forse per difendermi (l’istinto familiare e umano è
indomabile) o forse perché gli andava e basta, mio fratello ha alzato l’ascia e
lo ha finito per sempre.
Qualche ora dopo sarebbe uscito Vincenzo (il saggio) con la
mini ruspa e li avrebbe seppelliti sotto cinque metri di terra.
Ora mi chiedo, nel silenzio della mia nuova casa, che cosa
stia accadendo, forse un barlume di coscienza abita ancora quelle menti? Forse
quando l’infezione si esaurisce in qualche modo qualcosa della memoria torna a
galla.
Cazzo, non lo so.
Nessuno lo sa.
Abbiamo sempre avuto nel laboratorio della cittadella delle
teste di zombie per studiarle, decapitate e messe su un tavolo dentro una
scatola trasparente, e queste, anche se continuano a muovere le mascelle per un
lungo periodo, alla fine se non alimentate muoiono.
E questo non è umano.
Ma qualcosa negli occhi di quegli uomini e dell’uomo della
cravatta, portava con sé le memorie di una vita passata normale.
Per la prima volta da quando è esplosa l’epidemia, il mio
sentimento di odio si è confrontato con la pietà.
Ora voglio dormirci su, se non è stato un caso, nei prossimi
giorni e forse anni, ne parleremo ancora.
Se invece era un trucco della memoria di direttore di banca,
fingere di essere fottuto per fottere, fanculo a lui.
Ho sonno.
