martedì 17 aprile 2012

verso Roma.


Non avrei mai pensato un qualcosa di simile, un assembramento di forze simili.
Quando sono arrivato, nel campo dei Gurka inglesi insieme alla V armata, ho avuto la certezza che tante o poche le perdite che avremo, ci riprenderemo il nostro mondo.
Loro sono solo ospiti non graditi.
Siamo alloggiati all’aeroporto di Fiumicino con le truppe di mezzo mondo.
Ma chi aveva mai sentito dell’imbuto? Una cazzo di idea geniale, si tratta di una struttura enorme in acciaio e di semplicissima concezione, gli zombie entrano dentro attirati da un esca e la struttura metro dopo metro si restringe. Fino a permettere il passaggio di uno zombie per volta, lungo come un campo di calcio largo all’imbocco come due si stringe fino a diventare lo spazio di una porticina.
Né più né meno di quanto fecero gli Spartani alle Termopili.
L’idea è venuta ad un macellaio che era stato aggredito dentro un mattatoio da un gruppo di zombie allo scoppio dell’epidemia, così lo inseguirono nello stabilimento fino a dove venivamo abbattute le bestie con un colpo in testa, alla fine di un lungo corridoio.
Un genio cazzo.
Quel macellaio è quello scoppiato incazzoso, asociale di mio fratello, quando nei primi giorni dell’epidemia me lo aveva detto, lo avevo preso in giro, intanto lui aveva mandato la sua idea ad una staffetta al comando difesa bellico zombie.
Come è piccolo il mondo.
Lo hanno preso sul serio e un domani la sua idea sarà nei libri di scuola e magari porterà il suo nome “Imbuto Danilo”.
Stiamo liberando il mondo dagli zombie con l’idea di uno psicopatico.
Geniale ma psicopatico.
Lo vedo che se la cammina in giro per l’aeroporto con la sua ascia bipenne tutto orgoglioso, controlla i fabbri che saldano gli enormi pezzi che da domani cominceranno a montare alle porte di Roma.
La prima zona prevista è dopo la galleria del cimitero di Prima Porta, ovviamente saranno montati molti pezzi in meno per adattarlo alla strada che non è poi così grande, ma è un ottimo primo punto di approccio, ci basterà bloccare le rampe di accesso e la strada durante il montaggio e poi una volta montato l’imbuto Danilo, liberemo le barriere.
Altro fattore importante è che con questo metodo se da una parte si impiega molto più tempo, dall’altra si avrà quanto meno un’idea di quanti zombie ci sgobberemo.
Ci sono delle persone predisposte al conteggio, appena fuori l’imbuto.
L’unica nota dolente è che sempre per il montaggio il colpo in testa dovrà essere il più preciso possibile, perché una volta colpito lo zombie, questo dovrà poi cadere nel vuoto della strada circostante, proprio sotto di noi.
Infatti tra i problemi dell’imbuto Danilo, c’è la massa di corpi che si accalcheranno, in questo caso ne dovremo fare una montagna vera e propria di almeno venti metri in altezza.
Un colpo in testa, e sotto un reparto di gurka (corpi speciali nepalesi) li finirà con un altro colpo.
Almeno fino a quando la montagna di cadaveri non sarà troppo alta.
Insomma avremo un bel da fare.
Continuano ad atterrare C130 e aerei da trasposto in genere, con unità raccolte in giro ovunque, brasiliani, argentini, russi, giapponesi, africani e truppe americani e canadesi, cazzo i canadesi, sono tantissimi, le temperature rigide li hanno aiutati.
Molti portano con sé il manuale di sopravvivenza Zombie di Max Brooks, e ancora il suo “attacchi documentati nella storia”.
Ovviamente la bibbia è World War Z.
Quando il figlio di Mel Brooks scriveva questi libri qualcuno lo prendeva in giro.
Fatelo ora.
Cazzoni.

giovedì 12 aprile 2012

cani e zombie


I protagonisti indiscussi della guerra mondiale contro gli zombie, sono stati i cani,i primi ad essere impiegati furono quelli della k9 americana, la storica unità di addestramento cinofilo nord americana. Poi fu il momento dei nucleo cinofili nel resto del mondo,loro scoprivano l’epidemia, ma c’era un paio di problemi, belli pesi.
Il primo era che se non stavi attento, quando annusavano uno zombie, tanto andavano in aggressività che anche il più addestrato dei cani, mordeva il proprio conduttore o chiunque gli fosse vicino, se era al guinzaglio e quindi impossibilitato ad andare contro il mostro, il secondo problema non da meno è che i cani, hanno una bocca, gli zombie, anche ma oltre a quella hanno anche due mani. Quindi in uno scontro “uno zombie un cane” non sempre ne viene fuori il cane, primo motivo, il cane se ferito gravemente muore, lo zombie no, secondo motivo, gli zombie raramente girano soli.
Inevitabile che l’uomo abbia cominciato a selezionare cani per i nuovi compiti che li aspettavano, quando poi il governo di resistenza mondiale ha imposto la “4 legge bis” che impone almeno un cane addestrato per ogni unità abitativa , la questione si è fatta seria.
Cosi si è cominciato a lavorare cani, seriamente.
Cominciamo con il dire, che si è puntato sui cani da “utilità e difesa” proprio quelle razze che erano state soppiantate dai più docili cani da compagnia come Labrador e Golden.
I cani delle buone maniere e delle pubblicità, stringi stringi, non servivano più ad un cazzo.
In questo gruppo c’è poi stata una ulteriore scrematura e si è puntato su cani da pastore Tedesco Pastore Belga Malinois Dobermann e comunque cani predisposti oltre alla difesa, soprattutto alla guardia, per intenderci quelli che volgarmente vengono definiti abbaioni..
I tanti odiati cani di un tempo quelli che ti svegliavano nel bel mezzo del riposino quotidiano o della notte perché magari vedevano un gatto e cominciavano ad abbaiare.
Quella particolarità di vocalizzare per ogni allarme, ora è una qualità, ed è meglio essere svegliati nel cuore della notte da un cane rompicoglioni che essere sbranati da uno zombie (questo è garantito cazzo! NO?)
Le razzi più silenziose come Rottweiler, Boxer, o Molossoidi o bovari in genere, vanno bene, ma è meglio che siano “secondi” cani, possibilmente maschi e che la femmina sia di una razza abbaiona.
Insomma uno abbaia e sveglia tutti mentre l’altro intrattiene lo zombie a colpi di braccia strappate a furia di morsi, perché con l’addestramento, non ci andiamo leggeri, è brutto a dirsi, ma è quello che facciamo, nei cani giovani leghiamo uno zombie ad un palo e insegniamo al cane le fasi di ricerca e attacco.
Li facciamo letteralmente sbranare. (non rompete i coglioni con la morale per le bestie e per i zombie con storie del tipo maltrattamenti e mancanza di umanità,tutte cose giuste, in un mondo giusto,ma questo non è più un mondo giusto.(o forse è tornato ad esserlo)
Quando il cucciolone è cresciuto, le fasi di attacco si fanno più complicate, il cane deve imparare in caso di necessità a far cadere il rotto in culo, e poi strappargli la gola e la testa a morsi.
Nei primi mesi dell’infezione tutto era più difficile, ora che i tessuti dei zombie sono provati dal tempo, le teste vengono via più facilmente.
Cosi alla fine il cane vince anche un ossetto da rosicchiare nella sua cuccia.
Il mio cane personale è un pastore belga Malinois o Malin , è un cacciatore, morde come un bastardo.
Si chiama crock, è un diminutivo affettuoso di coccodrillo.
In questi giorni ho finito il suo addestramento, ma non credo lo porterò con me all’invasione di Roma, ancora una settimana e poi molti di noi si aggregheranno alla v armata per la riconquista della capitale, faremo milioni di morti, ma l’unica cosa che veramente mi mette paura, sono i nidi degli zombie che si trovano in profondità, si dice ce ne siano a migliaia nei tunnel della metropolitana..spero di non finirci dentro..
Mia moglie non sarebbe contenta..
Non volevo parlarne della prossima invasione di Roma, tra di noi tutti, c’è un silenzio tombale sappiamo a cosa andiamo incontro e soprattutto sappiamo che dopo questo cambierà tutto, applicheremo il modello Israeliano costruiremo mura alte intorno alla città e nei prossimi anni torneremo alla normalità o qualcosa che ci si avvicina, o almeno qualcosa che la ricorda.
I nostri figli cresceranno in un mondo dove gli zombie non fanno paura perché loro ci sono cresciuti e non sanno cosa significa un mondo senza.
Sapranno di dover aver più o meno degli accorgimenti che si aggiungeranno a quelli che ragazzi della loro età dovranno avere e un giorno forse non avranno neanche più i segni di questa epidemia, come quelli della mia generazione che non portano la cicatrice del virus per il vaiolo, mentre i nostri genitori si.
Belle le mie riflessioni vero?
Sto cazzo.! Questo non è non sarà mai ricordato come un cazzo di vaiolo! Questi sono morti che si risvegliano e cercano di sbranarti, fino a che non sarà morto l’ultimo figlio di puttana, non mi darò pace.
A costo di andare a prendere l’ultimo infetto in uno sperduto paese del cazzo nel bel mezzo della Cina rurale
Poi penseremo a quelli che vivono in fondo al mare e che si stanno mangiando tutti i pesci.
Maledetti famelici mostri rotti in culo, l’uomo ha costruito il suo diritto di vivere sulla terra in milioni di anni di selezione naturale della specie, non ci faremmo sterminare da un virus del cazzo, non ho ancora cosi tanta merda nella testa da darmi per vinto.
Magari non troveremo mai la cura, ma certo stermineremo il virus.
Vaffanculo.
Prendiamoci Roma.cazzo.

mercoledì 11 aprile 2012

chi è morto ?


Tra le vittime, vorrei poter dire che ci furono solo gli infetti o gli sbranati, non è cosi.
Nella guerra mondiale contro gli zombie a perire furono anche altre persone incapaci di reagire, sopraffatte da uno stato d’animo perso.
Molti quelli che si immedesimarono talmente tanto nell’infezione che li vedevi camminare come fossero infetti e così non era, si muovevano come loro e provavano ad emettere i loro stessi suoni quando si trovavano a contatto con i “sani”.
Ovviamente questi venivano uccisi sia dai sani che dagli infetti, i sani conoscevano la loro natura il più delle volte (non sempre) ma sapevano che comunque erano molto pericolosi, si avventavano sui non infetti come fossero dei mostri e cercavano di morderli, anche se questo non trasmetteva l’infezione, non era gradevole essere morsi da qualcuno, mentre gli zombie veri, non ci cadevano e non ci cadono, hanno un qualcosa che gli fa avvertire il sangue non infetto, forse l’odore.
Poi ci furono quelli che morirono per mancanza di cure, per mancanza di medici e quelli che si lasciarono semplicemente morire di inedia.
Una mattina semplicemente non si svegliavano più, come accade spesso nelle guerre, quelli che si lasciano vincere dalla paura, quando supera la soglia del terrore e diventa qualcosa di peggio, una “non voglia di vivere”.
Una totale mancanza di motivazione, soprattutto negli adulti che perdevano tutti i familiari, figli e compagni compresi e non avevano più un motivo per combattere, per vivere.
La depressione cronica fece tanti morti, non quanto l’infezione stessa, ma comunque neanche molto meno, poi ci furono i morti per fame, per sete, per freddo, per paura, le vittime dei branchi di cani randagi.
Quelli che si buttarono in acqua per fuggire agli zombie e morirono annegati.
Ma naturalmente i primi a morire furono i malati, quelli negli ospedali, anche quelli chiusi in coma sotto chiave, o nei reparti infettivi.
Ogni centro ambulatoriale fu un nuovo focolaio dove esplose l’epidemia, quando i morti cominciarono a risvegliarsi erano quasi tutti nei pronto soccorso o negli obitori, così tutto l’ospedale diveniva sotto assedio.
Noi abbiamo salvato un paio di persone dentro l’ospedale San Pietro che erano chiuse nel reparto rianimazione da un paio d’anni, si sono svegliate dal coma, neanche loro sanno come e, terrorizzate, si stavano lasciando morire di stenti, riuscivano a nutrirsi con le sacche per le flebo bevendole e, dopo aver visto cosa accadeva fuori, avevano deciso di non uscire dal reparto.
Quando le abbiamo trovate pesavano ventinove kg una e trenta kg l’altra. Entrambe alte tra il metro e ottanta e il metro e ottantacinque.
Ora stanno bene e vivono con noi.
La percentuale di quelli che si sono salvati invece pende incredibilmente in favore dei bambini dai dieci anni in su, questi si sono trovati tra loro e hanno fatto banda. È da loro che il mondo ha imparato la tecnica dell’esca per distrarre gli zombie.
Si arrampicano come scimmiette e si buttano in condotti sotterranei strettissimi, si nutrono con pochissimo e quel pochissimo lo prendono dove trovano, radici, scatolame non scaduto, selvaggina scampata alle orde zombie
Insomma è come se in pochissimo tempo avessero disimparato la playstation, le consolle, il bullismo e si siano perfettamente (o quasi) adattati alla nuova vita.
Per il resto sono e restano bambini, non si lavano e giocano tra loro.
Sarà molto difficile reinserirli in un contesto civile quando tutto questo sarà finito.

domenica 8 aprile 2012

tecniche di lotta a mani nude contro gli zombie il "Juzo"


Il “juzo” è una tecnica di combattimento inventata da noi, questa è la migliore difesa corpo a corpo in caso di una aggressione zombie, noi abbiamo il nostro massimo esponente in Alessandro, l’ex impiegato di banca sopravvissuto nel nostro gruppo fino a questo momento.
È un sistema di lotta completamente diverso da quelli fino conosciuti in epoca prebellica, è volto a finalizzare il mostro, evitando il contatto con la bocca.
Le azioni principali, sono la spazzata volta a far perdere l’equilibrio al mostro per farlo cadere  e poi finirlo con un dei calci dietro la testa, o lo spezzare il ginocchio con un calcio di piatto per farlo cadere.
Il suono emesso da un osso quando si rompe è molto simile al rumore emesso da una pistola automatica quando si lascia andare il carrello.
Uno “stock” quasi metallico.
Poi ci sono le proiezioni usate nello judo, si lascia arrivare lo zombie a circa un metro, poi ci si sposta lateralmente facendo perno prima su un piede, poi su un altro e si interviene successivamente con una serie di potenti pugni dietro la schiena a spezzargli la colonna vertebrale, che è quasi sempre fragile nei mostri, in genere al secondo o terzo pugno assestato bene, l’essere cade dinoccolato a terra e lo si finisce con un calcio proprio dietro la nuca, meglio se a martello.
Meglio ancora raccogliendo un corpo contundente da terra di peso variabile, ovviamente deve comunque raddoppiare nei kg, il peso di un cranio per essere efficace o una forma ficcante per penetrare nella testa.
Il Juzo comprende varie cinture, la nera è il massimo ed insegna a sopravvivere a squadre di bambini zombie, che sono i peggiori da affrontare, e per una questione morale e per una questione di altezza, questi infatti essendo circa la metà di un uomo adulto sono più difficili da fermare, ma vorrei non soffermarmi su questo.
Sono dei bambini zombie, ma sempre bambini, e sono molti i casi in cui uomini e donne si sono lasciati trasportare dal sentimento e hanno preferito farsi mordere, contagiare e sbranare,piuttosto che alzare un dito su di loro.
Probabilmente non è un caso che il paziente zero dell’epidemia, sia stato individuato proprio in un bambino in Cina.
il juzo prevede ovviamente anche l’uso di armi di fortuna, nei test e nei passaggi di cintura infatti, non è raro, mettere un uomo nelle condizioni di dover scegliere, Nei test per il passaggio di cintura, che  si svolgono all’interno di un rudere recintato nella cittadella, dove all’interno mettiamo un paio di zombie, consumati, tra i primi infetti, tanto per rendere l’idea. Nella situazione mettiamo più possibilità, come ad esempio un albero dal quale strappare un ramo, una pistola, con il rischio che però sia scarica e cosi via, insomma mettiamo la persona nelle condizioni di scegliere la soluzione più veloce ed efficace per finalizzare i zombie.
Alessandro in questi giorni, sta studiando il Savate che è una disciplina sportiva francese per mezzo di libri che abbiamo trovato in questi mesi, e capire se è possibile applicare questa tecnica, soprattutto nella parte dei calci tirati a distanza.
Mentre lui si occupa di questo, io sono l’addetto all’addestramento cani anti zombie..

venerdì 6 aprile 2012

i "mezzi" morti


Sferzava un gelido vento da est, direttamente dai Balcani, aria fredda sparata in viso dopo essersi infilata tra le colline dalla val Nerina, nella vita prebellica probabilmente sarebbe stata classificata come una perturbazione di origine Siberiana.
Cazzo che freddo, io e Filippo eravamo di ronda, quella notte, eravamo arrivati alla cittadella solo qualche giorno prima e ogni turno di lavoro era estenuante, anche i nuovi profughi che a mano a mano arrivavano, disponevano di poche ore per rifocillarsi, poi o erano dentro a lavoro o erano fuori.
Con noi o senza di noi.
La mattina eravamo stati impegnati nella fortificazione dei muri, il pomeriggio avevamo riposato e la sera dovevamo spingerci oltre le colline per andare a cercare dei campi da coltivare.
In quel momento avevamo trovato acqua potabile in abbondanza, legna da ardere a volontà grazie al bosco e selvaggina.
Avevamo un disperato bisogno di campi da coltivare, ma se tanto eravamo protetti tra quelle colline anguste, tanto eravamo distanti dalla possibilità di coltivare un terreno cosiddetto in crosta (con una superficie scoscesa).
Avevamo le armi, avevamo le radio, avevamo le torce e non ci mancava il coraggio, così dopo un paio di giri di ronda intorno alla cittadella, dove per altro passammo a salutare le sentinelle preposte ai buchi ancora scoperti del muro, e le vedette più lontane, quelle ai segnalatori che erano grossi falò che sarebbero stati accesi in caso di pericolo, superammo il perimetro da noi controllato per spingerci verso le incognite del mondo zombie.
L’inverno aiutava, visto che i mostri si irrigidivano e si muovevano  in modo ancora più lento, quando le temperature poi scendevano sotto gli zero gradi, si congelavano completamente, riuscivano a muovere solo gli occhi, neri e pieni di vene esplose di sangue ormai pesto o rappreso.
E’ per questo che i territori del nord furono i primi ad essere liberati.
La Val d’Aosta in particolare era ormai praticamente uno stato indipendente.
Che poi alla fine, quando mai non lo fu.
Salimmo sulla collina est avendo sempre il vento freddo sul viso, le orecchie  non le sentivamo più e faticosamente riuscimmo a scollinare, sotto di noi si aprì un’ampia radura e una distesa di campi che fino a poco prima erano coltivati.
Eravamo felici, così, illuminati con la torcia, ci facemmo strada, Filippo davanti e io dietro di qualche metro, circa sette, come ogni ronda militare prevede, sette metri è la distanza che può mettere in difficoltà un cecchino in guerra quando deve uccidere, così se cade uno l’altro può reagire per tempo intuendo da dove arriva il colpo. Con gli zombie serve a poco, ma visto che il militare l’ho fatto quando gli zombie erano solo quelli nei film, ci accontentammo delle conoscenze prebelliche nella guerra mondiale degli zombie.
L’erba era cresciuta parecchio tra colture e sterpaglie, forse un metro e più, ma il vento l’aveva abbassata a ad una decina di centimetri dalle nostre ginocchia sentimmo il rumore di acqua che scorre e così ci spingemmo in profondità colpiti, travolti da un entusiasmo fanciullesco, acqua e campi in piano significavano vita!
Significava potersi veramente ricostruire una nuova vita in quello che era un nuovo mondo, fatto di regole nuove, di muri alti, di strade che sarebbero state costruite negli anni con muri molto alti su ambo i lati, la guerra aveva già cambiato aspetto, avevamo capito come difenderci dagli zombie, in qualche modo le precauzioni adottate avevano risposto bene e così la massa critica del genere umano era sensibilmente aumentata fino a spostare l’ago della bilancia, lentamente stavamo tornando in cima alla catena alimentare. Affondammo i passi nel buio, nel gelo, illuminando il cammino quando accanto a noi fece la sua comparsa un trattore con attaccata una trebbiatrice, la superammo aumentando il passo, quando dopo circa venti metri vidi Filippo accucciarsi, o meglio abbassarsi, sulle ginocchia.
Sapevo, avevo già capito, qualcosa non andava.
Una mano uscì dall’erba e mi agguantò la caviglia, il morso scattò qualche istante dopo.
Se non avessi avuto gli anfibi ora sarei morto o meglio sarei un morto non morto, perché Filippo non mi avrebbe mai ucciso prima di vedere la mia trasformazione.
Estrassi il mio martello pesante e gli schiacciai la testa, come fosse un brufolo.
Eravamo stati avventati e ingenui cazzo, quella volta ce la siamo vista molto brutta, e fu solo la fortuna se oggi lo raccontiamo, quel posto era stato un campo di battaglia tra l’uomo che guidava la trebbiatrice e gli zombie che, falciati, storpiati, tagliati a metà giacevano striscianti sotto di noi dal momento in cui avevamo messo i piedi nel campo.
Per il freddo e le loro condizioni forse non si erano svegliati fino a quel momento, ma ora erano svegli, e centinaia di zombie striscianti si muovevano verso di noi.
Non ce n’era uno dritto in piedi.
Facendo attenzione a dove mettevamo i piedi salimmo sul trattore e contattammo via radio la cittadella.
Arrivarono circa un ora dopo Alessandro, Pietro, Vincenzo, Simone, mio fratello e altri ragazzi del nostro gruppo.
La scena si presentava tragicomica quando arrivarono in nostro aiuto. Centinaia di mezzi mostri cercavano di salire sul trattore, mezzi congelati, calpestandosi uno con l’altro, in un macabro gioco del tetris, e quello che alzava più la testa gliela tagliavamo da sopra il trattore, con la spada di Filippo.
Il primo a cominciare la mattanza, fu Alessandro, il nostro samurai, ne uccise più di tutti.
Mio fratello cominciò a ridere e finì cinque minuti dopo.
A dire il vero tranne Simone, Vincenzo e Alessandro che erano in preda ad una furia omicida tutti quanti noi ridevamo illuminati dai fari che avevano portato.
D’altronde, in guerra è sempre stato il morale a fare la differenza, e se noi siamo sopravvissuti fino a questo momento il motivo è solo questo.
E come cantava un artista che amavamo tutti  prima che venisse divorato dalla sua guardia del corpo..
“E sorridere dei guai… senza perdersi d’animo mai… e pensare che domani sarà sempre meglio…”.

sabato 24 marzo 2012

conquistiamo Roma


Oggi la cittadella è un posto che in epoca prebellica non sarebbe potuta esistere, le cose sono fatte per durare, non per finire ed essere ricomprate. Le lampadine sono di quelle a basso consumo che durano un’infinità, da quando siamo qui ne abbiamo sostituite soltanto tre in tutto il paese, e le abbiamo sostituite è perché i bambini giocando a calcio le hanno distrutte (certe cose non cambiano mai).
Tutto è funzionale, l’asilo, il market interno e quello esterno, i medici oltre ad avere un presidio fisso, una sorta di ospedale, vengono a casa alla prima chiamata, non siamo una comune dove mangiamo tutti insieme, no, nulla di tutto questo, siamo una collettività, senza volerlo abbiamo creato un sistema ad anelli, per tenerci saldi e sopravvivere abbiamo bisogno ognuno dell’altro, anche quando la catena è tesa, non si spezza mai.
In questi giorni non ho aggiornato il diario, perché sono stato molto impegnato, un gruppo di fucilieri della V armata ci ha raggiunto con un dispaccio “intermondo”. Ci sono molte forze che si stanno concentrando su Roma, per liberarla definitivamente, la città è quasi completamente circondata, i sette colli e le zone limitrofe sono già coperte e protette, la manovra sarà a tamburo, immaginate la città, e mentre tutti contengono, un fronte affonda, entra, stermina e poi esce, quando è fuori, un altro fronte avanza, stermina e esce e così via fino ad entrare in profondità, scendere nelle fognature e stanare fino all’ultimo uomo (zombie).
L’idea è che Roma diventerà il primo punto libero europeo, come Gerusalemme lo è stato per il medio oriente.
Come Tucson lo è stato per gli Stati Uniti. In teoria alla fine della storia, Roma per l’ennesima volta, se tutto dovesse andare bene, sarà la nuova culla della civiltà europea. Le forze in campo sono intorno ai centomila, forse più uomini, molti dei quali tra i migliori rimasti nel mondo.
Un paio di reparti della Legione Stranier, che allo scoppio dell’epidemia rimasero isolati in Ciad senza poter far nulla, spetnaz russi, anche loro isolati in una remota zona della Cecenia prebellica, quasi tutto il reparto dei Gurka nepalesi, che sono considerati da sempre i migliori soldati al mondo, gran parte dei paracadutisti italiani, che quando la scala di comando è caduta, si sono asserragliati tra le mura della caserma e hanno resistito.
Due reparti di messicani, anche loro salvi non si sa come, visto cosa accadde in tutto il Messico, che venne letteralmente raso al suolo dagli zombie, e argentini della Patagonia, o meglio, loro sono stati i più svegli, quando hanno visto come buttava il mondo, in un gruppo numerosissimo si sono rifugiati in una delle zone più inaccessibili e remote del mondo, la Patagonia.
Brasiliani e cubani ci saranno ma in un piccolo numero, perché ogni operazione che viene compiuta si considera deve essere portata a termine ognuno con le proprie forze, comprese le vivande.
Quindi quando ci si muove, tutto deve essere veramente fatto nel migliore dei modi.
La cosa buffa è che prima  della guerra la benzina e i carburanti avevano prezzi mai raggiunti.
Eravamo sette miliardi, oggi l’ultimo dispaccio parla di poche decine di milioni di abitanti sulla terra, e con i soli carburanti in ogni pompa di benzina e raffineria nel mondo, con un conteggio approssimativo, i nostri nipoti avranno ancora tanta di quella benzina da potercisi fare il bagno. Nei prossimi giorni anche noi partiremo e forse un domani se lo vorremo, potremo tornare a vivere a Roma.
I tecnici israeliani hanno già portato i loro ingegneri che stanno studiando le nuove autostrade con gli alti muri modello Israele, insomma c’è molto entusiasmo per quello che sta accadendo.
Io sono a metà tra l’entusiasmo e il gelo interiore.
Siamo pronti ad andarci a riprendere il mondo come era prima, la nostra casa e magari un domani le nostre vecchie abitudini. Ma è quello che vogliamo?
È stato un attimo, ma il pensiero mi è andato proprio lì, è mancato di rispetto a tutte le persone morte, in questa pandemia.
È stata veramente una tragedia questa epidemia?
Voglio veramente tornare alle vecchie abitudini, o quello che abbiamo costruito è meglio, anche nelle sue difficoltà, di quello che abbiamo perso?
Non sono l’unico ad aver avuto questo pensiero, lo so, lo leggo negli occhi di Filippo, di Vincenzo e soprattutto di mia moglie.
Lei non dice niente al momento, lei sa che partirò.
Lei sa che quello che vado a fare è giusto.
L’emozione di tornare nei luoghi dove siamo nati e cresciuti, tutto bellissimo.
Ma... qualcosa nei suoi occhi… non è così convinta.
Nei prossimi giorni libereremo Roma, ne sono certo.
Ve lo racconterò…
(intanto proprio ieri uno degli uomini della V armata ci ha raccontato uno strano episodio, uno zombie osservato da lui dentro un ristorante deserto e abbandonato da anni, passava un bicchiere sotto il rubinetto dell’acqua, ovviamente non aveva avuto l’istinto di aprirlo, e farla scorrere, ma il fatto stesso che abbia provato il gesto vuol dire due cose… o il caso… o una memoria sta tornando in questi cosi).io mio fratello e Filippo, quando ce lo ha raccontato, ci siamo guardati in silenzio.

domenica 11 marzo 2012

l'ultima spesa prebellica.


178,00 euro, questa è la strisciata con carta della mia ultima spesa in un supermercato,
un budget settimanale di duecento euro, sono stato bravo, pensai.
Era un sabato.
La sera stessa davanti alla tv, c’era l’intervista a Brad Pitt allo show televisivo di David  Letterman, l’attore americano camminava per Sunset Boulevard quando venne aggredito da uno dei primi zombie contagiati, stava per morderlo, quando la sua guardia del corpo glielo strappò di dosso, alla fine non riuscendo ad immobilizzarlo, lo freddò in pieno centro a Los Angeles.
L’epidemia era agli inizi negli Stati Uniti, mentre in Europa occidentale sostanzialmente non se ne avevano notizie ufficiali.
Il mondo aveva capito che in Cecenia succedeva qualcosa di strano, ma tra qualcosa di strano e una infezione zombie ce ne passano di cose, quindi quando la Duma sentenziò la chiusura di tutte le frontiere cecene, dopo averne preso possesso, tutti pensammo ad una guerra contro i terroristi.
Le poche immagini che arrivavano da quella parte di mondo erano quelle di attentati terroristici di repertorio, il web era bloccato, ma ricordo perfettamente lo sguardo di uno Speznatz, su un carro che avanzava, in una ripresa effettuata da una videocamera amatoriale e postata una paio di giorni prima che internet venisse censurata.
Aveva negli occhi il terrore, lo ricordo perché avevo avuto occasione di vedere i soldati russi durante il mio servizio militare in Kosovo.
Sono uomini forgiati a fatica, sudore, sangue e wodka, il più delle volte arrivano da paesi così sperduti che non sono segnalati da nessuna carta, uomini per i quali fare la guerra è un modo come un altro per soffrire un po’ meno.
Gli occhi di quel giovane catturati per pochi istanti mi trasmisero un terrore che ancora porto dentro.
Qualcosa di ancestrale si accese in me dopo quel fotogramma, all’epoca non ne capivo il motivo, la mia ansia quotidiana dovuta a fattori lavorativi e curata con il Lexothan e il Prozac, venne sostituita da una soglia di attenzione molto alta, sparirono i miei attacchi di panico.
I pochi scienziati e medici in vita, la chiamano oggi C.R.E. capacità reazione emotiva. Una sorta di sesto senso primordiale, lo stesso che nei periodi prebellici salvò persone da incidenti aerei e ferroviari, impedendogli di salire a bordo all’ultimo momento.
Quattro giorni dopo quel sabato, New York era caduta.
“L’attacco primo” il ground zero del contagio si verificò durante una partita al Madison Square Garden, così cadde Manhattan, poi Harlem, il Bronx, il Village, Soho, il Queens, la zona della City e tutto il mondo guardò in diretta alla CNN la fine di tutto, dalle dirette di una decina di elicotteri i quali, invece di tentare qualche salvataggio, si limitavano a documentare.
Il sabato successivo mi recai al supermercato che era stato abbandonato in fretta e furia, le casse erano deserte e un senso di angoscia mi pervase prima di entrare.
Ci crediate o no, fu più forte l’angoscia di tornare a casa senza pannolini e dover sopportare mia moglie che mi spinse ad entrare, (il suo istinto materno di protezione nel tempo però mi ha trasmesso quella capacità di resistenza che oggi mi permette di scrivere, mi ripete che io non posso morire, tutto il mondo può morire, ma io non mi devo azzardare a morire, ci sono i bambini) mi diressi subito verso il reparto bambini in un silenzio rotto solo dalla radio in filo diffusione che trasmetteva probabilmente una play list in memoria.
Vidi alla fine del corridoio un essere orrendo fissarmi, aveva gli occhi tra il rosso e il nero ed era completamente sporco di sangue, emise un qualcosa a metà tra un suono e un rumore spaventoso e cominciò a corrermi addosso.
Indietreggiai terrorizzato, e cominciai a fuggire.
Imparai la lezione numero uno: non esistono regole, sfruttare le potenzialità in ognuno di noi, non essendo un atleta e pesando ben oltre il quintale, correre era inutile.
Mi fermai e dopo essermi guardato intorno, non trovando alcun corpo contundente, decisi la contro mossa (non sapevo ancora che l’infezione si trasmetteva con la saliva altrimenti non lo avrei fatto).
Cominciai anche io a correre contro lo zombie e quando gli fui ad un metro, mentre tutti e due ci venivamo incontro, mi accucciai e lo placcai violentemente.
Un attimo dopo eravamo a terra, lui sotto io sopra.
Provò a mordermi un paio di volte, ma evidentemente al primo pugno gli distrussi qualcosa di quella merda che chiamano cervello.
Così continuai a colpirlo.
Mi fermai ed ero ancora sopra di lui.
Avvertii un rumore proprio dietro di me, alzai la testa e capii di essere fottuto.
Sei zombie mi guardavano famelici, mi guardai davanti, altri due davanti a me, erano quattro ex inservienti del supermercato e quattro clienti immagino.
Oltre la soglia del terrore accadono cose strane nel corpo umano che oggi conosco, i miei tessuti si rilassarono e mi cagai sotto, contestualmente un rivolo caldo mi scese nei pantaloni e così mi pisciai addosso, capisco che tutto questo non è da eroi e avreste voluto leggere cose diverse, ma fu così che andò.
Oggi so che è un atteggiamento naturale, nel senso che ogni specie vivente, dalle scimmie ai lupi, durante la fuga o la caccia istintivamente vomitano, pisciano e si cagano sotto per essere più leggeri e più veloci.
Ma nel periodo pre bellico ci si riempiva la bocca con parole tipo coraggio e codardia, che nulla hanno a che fare con la sopravvivenza e i suoi istinti, ma chi poteva saperlo.
Il mio corpo stava reagendo, sentivo che dovevo tentare una fuga ma non avevo vie.
Ad un passo dalla morte vidi tre zombie caricarmi quando, ormai completamente sporco di sangue e merda, mi ero alzato, ero pronto a morire. Questo posso dirlo.
Bang, bang, bang, bang, bang.
Quattro colpi esplosero nel supermercato e i tre zombie caddero a pochi centimetri da me, sul fondo della corsia vidi mio fratello e Filippo.
Le altre teste marce li caricarono, e per loro fu una pessima scelta.
Erano tutti e due armati e incazzati.
- Ci ha mandato tua moglie, che non ti vedeva tornare - furono le loro prime parole.
Mi salvò l’amore di mia moglie, è la versione romantica che racconta lei.
Ma io, Filippo e Danilo sappiamo che a salvarmi fu la sua ansia da pannolino.
Ma non diteglielo.